SE MUORE UN PAPA SE NE FA UN ALTRO, SE MUORE ROMA NO
In questo momemento di riflessioni e congetture sul futuro della Chiesa Cattolica, è utile richiamare alla memoria una verità essenziale: il Papa è, prima di tutto, il Vescovo di Roma. Non si tratta di un caso fortuito della storia, ma del risultato di un disegno lungimirante che ha assicurato alla Città Eterna un ruolo centrale sulla scena mondiale per più di due millenni.
Gli antichi romani, con quella lucidità strategica che li ha sempre resi straordinari, orchestrarono con sapiente preveggenza l'avvento del cristianesimo quando intuirono che l'architettura dell'Impero non poteva più sostenere la pressione disgregante dei popoli barbarici. Questi, ormai progressivamente romanizzati, stavano erodendo l'impero dall'interno, come un fiume che modifica il suo stesso corso.
L'Editto di Costantino del 313 d.C. non rappresentò semplicemente un atto di tolleranza religiosa, ma divenne la chiave di volta di una transizione epocale: dal dominio politico-militare si favorì consapevolmente il passaggio verso l'autorità spirituale. Una trasformazione necessaria e geniale che ha garantito a Roma altri due millenni di indiscussa centralità nel panorama mondiale.
La riprova sono gli innumerevoli templi romani che, pur trasformati in chiese, hanno continuato a seguire il destino religioso precedente. Un esempio emblematico: la basilica di Santa Maria Maggiore -dove Bergoglio ha scelto di essere seppellito- è stata edificata sul colle Esquilino dove è archeologicamente attestata la presenza di templi dedicati principalmente a dee, il che dimostra come siano stati traslati i contenuti del femminile sacro da una tradizione all'altra.
Il sogno di Roma di trasformare il cosmo intero in un'unica grande città – l'Urbe che si espande fino a diventare Orbe – esige che la sua universalità non venga mai meno.
Sarebbe una perdita incommensurabile per l'intera umanità. La sua vocazione all'universalità rappresenta l'eredità più preziosa custodita dalla civiltà occidentale, una terza via che si contrappone a due tendenze ugualmente deleterie: quella che spinge a innalzare muri invalicabili e quella che pretende di abolire ogni forma di identità e appartenenza culturale.
Numerosi analisti e osservatori hanno notato come il cristianesimo contemporaneo presenti le stesse stimmate che caratterizzarono il periodo del declino dell'Impero Romano: una drammatica crisi di identità, una società profondamente secolarizzata e priva di valori condivisi, istituzioni che faticano sempre più a comunicare efficacemente con i propri contemporanei.
Papa Francesco ha scelto di affrontare queste sfide scendendo molti gradini verso il mondo secolare. È stato un pontefice particolarmente amato dai media proprio perché ha incarnato perfettamente la crisi dei nostri tempi. Ma è importante ricordare che le crisi non si risolvono generando ulteriori crisi.
Il rischio concreto è quello di una Chiesa che, nel tentativo disperato di non perdere rilevanza sociale, finisca per rinunciare alla sua stessa ragion d'essere e alla sua missione esistenziale. Che è quella di prendere per mano "gli ultimi" e condurli verso il cielo. Non assecondarli nelle loro debolezze.
L'Europa, con Roma in prima linea, è chiamata oggi a intraprendere una profonda restaurazione etica che non si preoccupi primariamente di ampliare il numero dei "clienti", quanto piuttosto di definire con chiarezza un insieme di valori fondamentali che diano senso e significato all'essere europei e occidentali.
Questa chiarezza diventa indispensabile anche per affrontare in modo costruttivo le sfide migratorie che caratterizzano la nostra epoca: il dialogo con l’altro è possibile solo quando esistono due linguaggi distinti che si confrontano con rispetto reciproco. In assenza di questa distinzione, tutto si trasforma in un guazzabuglio privo di significato.
Roma deve per tanto ora compiere un ulteriore passo evolutivo e, dopo duemila anni, superare anche la forma del potere spirituale per affidare la sua identità a una nuova dimensione.
Non si tratta di rinnegare il proprio passato glorioso, ma di evolvere verso una nuova forma di universalità più adatta alle sfide del terzo millennio. Ma quale può essere la nuova dimensione di Roma che, senza tradirne l'essenza, sappia traghettarla fuori dalle sabbie mobili in cui è caduta?
L'esempio ce lo fornisce Cristina di Svezia, figura straordinaria del XVII secolo, che nel 1654 abdicò al trono e scelse Roma come sua capitale d'elezione. Cristina, una volta a Roma, ha promosso cenacoli intellettuali sostenendo le arti.
Presso l'Accademia Reale di Cristina di Svezia -oggi sede dell'Accademia dei Lincei sul lungotevere- si riunivano menti brillanti da tutta Europa per dibattere di filosofia, scienza e arte. E' questo il prototipo storico di ciò che Roma potrebbe nuovamente diventare: non solo custode della memoria, ma fucina attiva di pensiero. In poche parole, la capitale mondiale della cultura.
Non più solo l'immenso museo a cielo aperto che già oggi l’urbe rappresenta – una risorsa che però serve principalmente ai flussi turistici – ma a un organismo vivo e pulsante, capace di elaborare e diffondere linee culturali significative per il mondo intero, una sorta di "Palo Alto della cultura" dove artisti e intellettuali provenienti da ogni angolo del pianeta possano formarsi e contribuire, nel nome dell’universalità che è la cifra fondante della città, alla scuola romana contemporanea.
Immagino un ecosistema vivente di centri di pensiero interdisciplinari, laboratori di innovazione culturale e spazi di mediazione interculturale. Serve creare nuove istituzioni ad hoc orientate al futuro, capaci di attrarre talenti globali e promuovere un dialogo che trascenda barriere nazionali, religiose e disciplinari. Serve una schiatta di personaggi illuminati che scelga la Città Eterna come centro di produzione culturale mondiale. Una capitale dei servizi, rigorosamente pubblici, materiali e immateriali.
In un mondo sempre più frammentato e polarizzato, Roma deve offrire uno spazio di sintesi e ricerca di valori comuni, rinnovando la sua missione civilizzatrice non più attraverso il dominio politico o l'autorità spirituale, ma mediante un'influenza culturale attiva che parli al mondo intero con rinnovata autorevolezza.
Roma è chiamata, ancora una volta nella sua storia millenaria, a reinventarsi senza tradire la propria essenza. Il suo destino universale non può esaurirsi, perché la sua fine significherebbe il tramonto di un'idea di civiltà che, pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, ancora oggi tiene in piedi l’umanità nel suo complesso.
Roma è più di un luogo geografico, è un'idea incarnata che può essere introiettata e riproposta da chiunque e da qualunque popolo sia meritevole di esprimerne la luce.
La riprova è che, persino Russia e Cina scimmiottano l’antica Roma e non sono capaci di superare l’impianto base di quel modello. Per non parlare dell’imperialismo degli Stati Uniti e dell'Inghilterra, o peggio dell’Europa dove ogni membro aderente ha sbranato il patrimonio comune di Roma pretendendo di essere l’unico erede. Tensione che ha portato e porta a innumerevoli conflitti.
Non dimentichiamolo: un papa muore, un altro ne prende il posto, secondo il ritmo immutabile della successione apostolica. Roma, invece, non può permettersi di morire, perché la sua vocazione trascende le singole figure che ne incarnano temporaneamente lo spirito.
Lo spirito di Roma è -in ultima istanza- lo spirito dell'intera Umanità.
"...quando morirà Roma, morirà il mondo intero"
Profezia di Beda il Venerabile
Un articolo di Fulvio Benelli
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