RIPENSARE LA LIBERAZONE: UN MANIFESTO CONTRO LE DIVISIONI
Oggi per me l'unica differenza degna di questo nome è quella tra chi accetta sconfitto una situazione deprimente e chi ha il coraggio di riappropriarsi dell'utopia. Utopia che non significa fantasia da serie tv distopica ma, come l'etimo suggerisce (ou-topos, "non luogo"), qualcosa che è fuori dal luogo attuale, ma che se debitamente progettata può avverarsi in futuro, non necessariamente troppo lontano.
Le contraddizioni della politica contemporanea
L'ultimo capitolo delle divisioni -in ordine di tempo- è sul tema della Liberazione. A tal riguardo, assistiamo a diversi paradossi: una parte della destra che fatica a lasciarsi alle spalle la matrice fascista dichiara di non festeggiarla, mentre si schiera contemporaneamente dalla parte degli Stati Uniti che, storicamente, furono tra i liberatori dal regime nazi-fascista (che prima ancora però era stato finanziato da Ford). Ironico.
Non mi sfugge come queste contraddizioni siano spesso create ad arte. Giorgia Meloni si sta rivelando un politico strategico, almeno dal suo punto di vista, capace di sfruttare sempre a proprio vantaggio le circostanze. Si è guadagnata Palazzo Chigi essendo stata l'unica all'opposizione durante il governo Draghi, tenendosi furbamente le mani libere per promettere scelte sovraniste e contestare quasi tutte le politiche in atto. Poi, una volta al governo, ha continuato gran parte dell'agenda precedente. (Non avrebbe potuto del resto fare altrimenti, considerando i vincoli internazionali ed europei).
Oggi sta provando una mossa simile: si posiziona in modo ambiguo e trapezistico rispetto alle scelte UE mentre ottiene visibilità allacciando relazioni ancora più stringenti con gli Stati Uniti, che però dell'Europa occidentale sono il riferimento geopolitico dalla seconda guerra mondiale in poi. Doppiamente ironico.
Superare la divisione destra-sinistra
La verità è che oggi forse è proprio la divisione tra destra e sinistra che andrebbe ripensata, perché sono categorie che spesso costringono la realtà in vecchi schemi dove non riesce più a entrare pienamente.
Lo scontento dell'elettorato lo conferma: la sinistra, un tempo vicina alle periferie e al mondo del lavoro, oggi è percepita da molti come elitaria e distaccata; la destra, che in campagna elettorale spesso enfatizza temi identitari e sovranisti, nei fatti non si fa alcun problema ad allinearsi con le dinamiche globali che limitano sempre più l'autonomia decisionale nazionale.
Non sto negando i meriti delle forme partitiche tradizionali del '900. Una si è battuta in nome della sacralità dell'individuo, l'altra per la sacralità della collettività. Sto affermando solo che questi stessi sacrosanti valori possono essere ricombinati in modo più libero e creativo. Questo significa lavorare per un'utopia che ambisce a diventare realtà.
Nuove categorie per nuovi tempi
In un'epoca in cui abbiamo il coraggio di mettere in discussione categorie profondamente radicate, dall'economia classica ai ruoli sociali tradizionali, perché ci ostiniamo a non superare una divisione che nasce storicamente per indicare la geografia degli scranni in Parlamento?
Il sospetto è che dietro questa resistenza ci siano rendite di posizione: apparati di potere che traggono la loro ragion d'essere dalla contrapposizione stessa. In mancanza di idee proprie e visioni autentiche, ciò che più conta diventa demonizzare l'avversario, che ironicamente a sua volta non possiede alcuna identità autentica se non quella di opporsi alla controparte.
Il potere sfrutta poi un'altra tendenza congenita negli esseri umani: quella di essere ancorati al passato e di resistere alle novità. Anche i progressisti dichiarati cadono spesso nell'errore di divenire conservatori del progressismo per come lo hanno ereditato, vivendolo in modo emozionale e nostalgico, come si può osservare anche nelle celebrazioni rituali della festa della Liberazione.
Lezioni dalla storia italiana: autonomia e interconnessione
Un approccio diverso permetterebbe di superare altre dicotomie ormai logore, come quella tra sovranismi ed europeismo. Visioni del mondo considerate in conflitto permanente, quando invece si tratta di trovare il giusto equilibrio tra autonomie locali e coordinamento centrale.
Per uscire da questa impasse, potremmo trarre ispirazione dalla storia italiana stessa, guardando alla straordinaria stagione dei Comuni, delle Signorie e delle Repubbliche marinare. Questi furono sistemi politici che, pur mantenendo piena autonomia e identità distintive, riuscirono a creare reti di connessione commerciale, culturale e diplomatica che permisero all'Italia di essere protagonista di un Rinascimento senza precedenti.
Venezia, Genova, Firenze, Milano – ciascuna con il proprio sistema di governo, le proprie leggi e tradizioni, riuscirono a far fiorire un'epoca di straordinario sviluppo proprio perché seppero bilanciare l'autonomia locale con la capacità di tessere relazioni. Non erano unite sotto un unico governo centralizzato, né completamente isolate: erano entità indipendenti ma profondamente interconnesse, capaci di competere e collaborare secondo le circostanze.
Questo modello storico ci suggerisce che è possibile immaginare sistemi politici più fluidi e articolati, dove l'appartenenza non è monolitica ma plurale e stratificata. Un sistema in cui le comunità mantengono la propria specificità culturale, economica e sociale, mentre partecipano attivamente a una rete di scambi e collaborazioni che ne amplifica le potenzialità.
Il Rinascimento italiano non sarebbe stato possibile senza questa particolare configurazione politica fatta di autonomie interconnesse.
Oltre l'Unione Europea: un modello genuinamente nuovo
Qualcuno potrebbe obiettare che questo modello di autonomie interconnesse esista già nell'Unione Europea, ma le differenze sono sostanziali e profonde.
L'UE, pur nata da nobili ideali di collaborazione tra popoli, è stata progressivamente catturata dalle stesse logiche che affliggono le politiche nazionali: blocchi ideologici rigidi, burocratizzazione elefantiaca, distanza dai cittadini e, soprattutto, predominio di logiche finanziarie e tecniche sulle reali esigenze dei territori.
Non a caso, l'europeismo è diventato spesso sinonimo di imposizione dall'alto di standard e normative, piuttosto che espressione di una visione condivisa. Il modello che propongo si differenzia radicalmente: non prevede strutture verticistiche permanenti, né un'architettura istituzionale rigida che si sovrappone a quella nazionale, ma una collaborazione organica tra comunità che preservano integralmente la propria sovranità decisionale. Non si tratta di delegare potere verso l'alto, ma di esercitarlo in modo coordinato tra pari.
Mentre l'UE attuale oscilla tra la tentazione federalista e la realtà di un'unione intergovernativa dove prevalgono gli interessi delle potenze maggiori, il modello delle Repubbliche marinare e dei Comuni medievali suggerisce una costellazione di centri decisionali autonomi che collaborano per progetti specifici mantenendo la propria identità distintiva.
È la differenza che passa tra una struttura gerarchica piramidale e una rete orizzontale di nodi interconnessi, tra un'unione basata su trattati e compromessi diplomatici e una comunità fondata su affinità culturali e interessi concreti condivisi, dove i singoli rappresentanti votano i singoli emendamenti in base al proprio convincimento e non per un vincolo di mandato calato dall’alto.
Utopia concreta: un nuovo progetto civico
Oggi, nell'era digitale e della globalizzazione, potremmo adattare la vecchia sapienza politica dei Comuni, rinnovandola ovviamente di sana pianta per le sfide contemporanee: comunità locali fortemente radicate nel proprio territorio ma aperte al mondo, capaci di cooperare su progetti comuni trasversali senza rinunciare alla propria specificità.
Non possiamo dimenticare mai che l'umanità è una cosa sola, sempre uguale e sempre diversa nelle sue molteplici espressioni. La politica del futuro non deve essere dunque artificiosamente di destra né di sinistra, né esclusivamente locale né unicamente globale, ma autenticamente umana: radicata nelle comunità reali, al fianco di tutti gli individui, anche gli ultimi, e al tempo stesso universale nel suo orizzonte temporale e spaziale e, soprattutto, nei suoi obiettivi.
Questa sì che sarebbe una Liberazione.
Un articolo di Fulvio Benelli
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