LA DIGNITÀ DEGLI ULTIMI: IL GESTO DEL PAPA E LO SCANDALO DEL SISTEMA CARCERARIO ITALIANO




Onore al merito. Papa Francesco ha firmato un bonifico da 200.000 euro -tutti i suoi averi personali- a beneficio del Pastificio Futuro di Casal del Marmo, che offre lavoro e formazione ai giovani detenuti del carcere minorile di Roma. 


Questo atto di generosità non è tanto un contributo economico, ma un messaggio simbolico: la più alta carica spirituale dell'occidente che dona tutto ciò che possiede agli ultimi degli ultimi perché crede nella loro possibilità di riscatto. Un messaggio di speranza ma anche un richiamo sferzante teso a illuminare una delle piaghe più dolorose della nostra società: la condizione dei carcerati. 


Quello che il papa ci ricorda con il suo testamento è che il grado di civiltà di uno Stato non si misura nei diritti concessi ai più ricchi, ma nelle condizioni minime garantite agli ultimi. Non lo dico io, lo diceva Voltaire.


Il sistema carcerario italiano rappresenta un fallimento sistemico che grida vendetta, un'emergenza che mette a nudo le contraddizioni più profonde del nostro stato di diritto.


La drammaticità della situazione si riflette nei numeri dei suicidi in carcere: nel 2023 si sono registrati 70 suicidi tra i detenuti, il numero più alto degli ultimi vent'anni. Dall'inizio del 2024 a ottobre si contavano già 65 morti per suicidio. A questi vanno aggiunti i decessi per altre cause, spesso legate alle pessime condizioni di detenzione. 


I dati parlano una lingua che non ammette interpretazioni. Le nostre carceri sono un ammasso di sofferenza e sovraffollamento, dove celle progettate per ospitare tre persone ne contengono quattro, cinque, persino sei. Gli ultimi dati parlando di sovraffollamento in eccesso del 129%.


È un degrado che va ben oltre il problema dello spazio: è una negazione della dignità umana.  Le condizioni igieniche sono spesso al limite, i servizi di assistenza psicologica e sanitaria insufficienti, le opportunità di formazione e lavoro limitate. Al Marassi di Genova ci sono stati casi addirittura di Tbc. 


Le conseguenze di questo sistema disfunzionale sono devastanti. Il nostro sistema carcerario non rieduca, produce mostri. Trasforma il reato in una condanna permanente, alimenta l'odio verso le istituzioni, cancella qualsiasi prospettiva di reinserimento sociale.


Anni fa mi occupai per la7 della morte di Federico Perna, morto in carcere dopo diverse denunce di violenza da parte della madre e dopo una lunga malattia che nessuno volle prendere in considerazione. Intervistai l'allora ministro Cancellieri che promise, a nome dello Stato, riforme e cambiamenti. Li stiamo ancora aspettando.


Quando all'estero ci sarebbero esempi virtuosi da prendere in considerazione. In Norvegia, ad esempio, il sistema carcerario di Halden e Bastøy è considerato tra i più umani al mondo. Le celle assomigliano a piccoli appartamenti, i detenuti hanno accesso a formazione professionale, attività sportive e culturali. Il risultato? Il tasso di recidiva è del 20%, tra i più bassi al mondo. In Germania, le carceri tedesche adottano il principio della "normalizzazione". I detenuti mantengono il diritto al voto, al lavoro retribuito e all'istruzione. Particolare attenzione è data al mantenimento dei legami familiari. In Olanda è stato avviato un processo di chiusura di diversi istituti penitenziari grazie a un approccio basato sulla prevenzione e sulle misure alternative alla detenzione. I tribunali privilegiano pene sostitutive come il lavoro socialmente utile. In Finlandia le "carceri aperte" consentono ai detenuti di lavorare all'esterno durante il giorno, rientrando in struttura solo la notte. Il sistema si basa sulla fiducia e sulla responsabilizzazione individuale.


Qui da noi, a parte rari esempi virtuosi, come è Bollate a Milano, o il carcere di Orvieto oppure il Due Palazzi di Padova, il resto è puro inferno. 


La strada per il cambiamento è chiara e richiede interventi immediati e radicali: serve un investimento urgente in nuove infrastrutture carcerarie che rispettino standard minimi di vivibilità. Non celle, ma spazi di potenziale rigenerazione umana. 


Questo anche nel rispetto di tutto il personale del carcere: gli agenti di polizia penitenziaria, il personale socio-sanitario, gli educatori, gli amministrativi che sono costretti a lavorare in condizioni borderline che finiscono per abbrutire e rendere inumano anche il loro servizio svolto alla collettività.  Infatti anche tra di loro si contano suicidi, e non se ne parla mai.


Che nessuni osi dire che non ci sono le risorse. Questo è un disco rotto che va avanti da almeno 20 anni ma che poi, quando serve, viene puntualmente smentito, basti pensare al recente piano di riarmo europeo.


Occorre poi mettere mano alle leggi obsolete, varando per esempio la depenalizzazione del piccolo spaccio. La legalizzazione controllata delle droghe rappresenterebbe un colpo decisivo ai finanziamenti della criminalità organizzata e alleggerirebbe notevolmente il carico delle strutture detentive.


Ma la vera sfida è più profonda. Bisogna superare l'attuale processo indiziario con misure alternative più garantiste, ripensando l'intero impianto della giustizia. Secondo i dati ufficiali, dal 1991 al 2023 sono state presentate oltre 32mila domande di risarcimento per ingiusta detenzione, molte delle quali accolte. Questo significa che ogni anno circa mille persone subiscono detenzioni preventive poi rivelatesi infondate, un dato che solleva seri interrogativi sulla necessità di rivedere i criteri per la custodia cautelare.  Per non parlare degli errori giudiziari veri e propri, un numero enorme tra quelli effettivamente riconosciuti e i tanti dove invece il sistema si arrocca per non ammettere di aver sbagliato.


Qui nessuno chiede impunità. Dal colletto bianco al ladro d'appartamento, i reati vanno perseguiti e puniti. Ma sempre nel rispetto della presunzione d'innocenza, della proporzionalità tra delitto e castigo e della dignità umana come orizzonte ultimo della giustizia. 


Riformare il sistema carcerario non è buonismo, è civiltà. È riconoscere che la giustizia non può essere una macchina di distruzione. La giustizia non può essere mai separata dalla grazia, come ci hanno insegnato gli antichi. Deve portare verso un percorso di recupero e reintegrazione.


La donazione del Papa dunque non è solo un bonifico, è un invito all'azione. Un monito alla nostra responsabilità collettiva verso chi, pur avendo sbagliato, conserva intatto il diritto alla possibilità del riscatto. Perché, in fondo, è questo il vero significato della giustizia e, ancor di più, della civiltà. 



Un articolo di Fulvio Benelli

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